ROMA 31

… wroom …

Alla fine arrivammo.

Lunghe ore di volo.

Stremante attesa nell’aeroporto di Atlanta.

Sonno.

Barba lunga.

Ma alla fine arrivammo!

Bagagli da disfare.

Lavatrici a gogo.

Domani si torna al lavoro.

Un grazie a tutti, però.

Il viaggio si è concluso stamattina alle ore 8.05 ufficiali di Roma, più la coda di un’altra ora e più per arrivare a casa. Ma devo fare due cose.

Ringraziare tutti gli amici che ci hanno seguito. Io mi sono divertito un mondo a fare le foto e darle una veste … più movimentata per mostrarvele.

Sapere di metterle così a disposizione ha dato un pò di verve in più alla passione fotografica.

Spero di non essere stato troppo noioso.

La seconda cose è l’ultimo video.

Lo sto preparando.

Un commiato con le ultime immagini degli ultimi giorni.

Una spolverata di magia musicale e… voila.

Anche questa vacanza sarà poi definitivamente archiviata.

Chissà in futuro dove ce ne andremo?

Non ho avuto il tempo di passare dai blog amici in questo periodo.

Dalla mail ho visto che molti post si sono aggiunti alle pagine che avevo letto fino alla partenza.

Da domani … tornerò in forma (spero) e con più tempo a disposizione per gli amici.

Vi saluto, quindi.

WASHINGTON DUELLES 30

Ecco, ore 06.25 ora locale, gate B 74, aeroporto Duelles di Washington.

Abbiamo lasciato già le valigie, le ritroveremo, speriamo bene, a Roma, domani mattina alle 8.25 ora locale.

Pochi viaggiatori ancora. Assonnati.

Come noi.

Stravaccati e un pò stropicciati.

Ecco, questa la cronaca che chiude il viaggio.

Una grande vacanza.

Gli USA sono immensi.

Noi ne abbiamo visitato, tracciato, direi, una parte soltanto, non molto più che un tratto d’inchiostro virtuale sulle mappe di Google.

Circa 6000 chilometri, se i conti approssimativi fatti in macchina sono giusti.

Un viaggio intenso.

Natura rigogliosa e ancora padrona del territorio, verrebbe da dire.

Se, sempre un pò più in là, non ci fossero state le sentinelle della civiltà armate di neon, luci, motori, rumori, strade, autostrade, porti, aeroporti e città, piccocle, medie e grandi, villaggi o metropoli.

Natura viva, però, sempre.

Miliardi di alberi. Milioni di uccelli. Miriadi di insetti.

Alligatori, scoiattoli, galli, gatti, qualche cagnolino ben pettinato e con la mise à la mode…

Ricordi che passano come flash davanti agli occhi.

Mare azzurro e verde.

Mare grigio.

Cieli alti e turchesi o bassi e plumbei.

Aria umida e afosa, schiaffeggiata dalla pioggia o tersa e cristallina, pulita dalla tempesta…

Sogni realizzati e sogni spezzati.

Viaggi intergalattici, aerei, automobilistici…

Passi su passi fino a far dolere i piedi e le ginocchia…

E, su tutto, la felicità di andare liberi, di guardare, di posare lo sguardo curioso e interrogativo…

E’ questa libertà che amo, una libertà che non ha prezzo.

Libertà di far parte del mondo, di essere, noi stessi, parte del mondo.

IL SOLE A WASHINGTON

Oggi è ritornato il sole a Washington.

Nel pomeriggio si è rasserenato tutto.

Trasparente l’aria, cristallina, secca, brillante.

Un’atmosfera meravigliosa che neanche più si ricordava della tempesta che schiaffeggiava la terra un poco più in là.

Meraviglioso andare a passegio così.

I riflessi del cielo donavano ai grattacieli le sembianze di specchi che rifrangevano all’infinito nuvolette candide e sprazzi d’azzurro.

Un vero miracolo, questo miracolo: se i miracoli esistono sono così, trasformano il grigio in azzurro, la pioggia scrosciante in tersa aria e luce sfavillante, il fango melmoso in morbida erba verde.

La città che era morta, così, per miracolo è risorta.

Succede così.

Andare in giro dopo la tempesta ti permette di ammirare quei lampi di luce che sprizzano dagli occhi dei passanti che si godono lo scampato pericolo.

C’era un’atmosfera così, magica, a Gergetown, dove gli ultimi raggi di un sole ormai rinato dopo la purificazione della tempesta, ma giunto ormai alla fine del suo ciclo giornaliero, si riflettevano sopra i mattoni rossi delle case in stile inglese operaio.

Ma c’era gioia nell’aria.

Nei quartieri del centro, invece, per le strade larghe e diritte che squadrano i ministeri ed i palazzi del potere, c’erano solo poveri neri senza casa. Tutti neri e tutti senza casa, appollaiati sulle comode panchine dei parchi e delle piazze. Tutti in cerca di qualche speranza. Tutti rassegnatamente dignitosi. Spesso assorti in chissà quali profonde considerazioni sull’amarezza della vita.

Di tanto in tanto qualche anziano, senza lavoro e senza pensione, che chiedeva, anch’egli dignitosamente, un aiuto.

La dignità, si quella c’era in tutti quegli occhi, anche se a noi metteva inquietudine  e paura.

Ed un pesiero lontano si formava nel profondo della mia coscienza.

Come stiamo diventando simili, noi italiani, a quest’America che forse ha perduto il suo sogno.